La vita da domenicano

© Vestizione del Beato Giovanni Liccio, incisioni su stampa (Anonimo, sec. XVIII)

Giunto Giovanni all’età di quindici anni, sentendosi attirato dalla vita monastica decise di farsi frate domenicano. Abbracciò forte la zia, addolorata per la partenza del nipote, ma al contempo gioiosa per la vocazione, riempì un piccolo sacco con l’essenziale per il viaggio e si avviò verso Palermo.

Da Caccamo a Palermo la strada era lunga per un ragazzo quindicenne, ma il desiderio di farsi frate lo caricava e alleggeriva il suo viaggio.
Giunto a Palermo con gli occhi trasognati di chi vede per la prima volta una grande città, si trovò inizialmente un pò spaesato ed intimorito. Tuttavia, deciso più che mai, chiese le informazioni necessarie e si diresse verso l’antica chiesa di S. Zita dove intorno al Beato Pietro Geremia, il quale ancora vivente godeva fama di santità, viveva un gruppo di ferventi figli di San Domenico.

La vita del chiostro fu per Giovanni di sacrificio e di abnegazione, egli osservò scrupolosamente la regola del suo istituto: obbedienza, silenzio, ritiratezza, orazione, la pratica dei divini comandamenti, dei precetti della Chiesa; nessuno più di lui fu umile, modesto, mansueto, devoto, puro di anima e di corpo; nessuno più di lui praticò la carità cristiana nei pensieri, nelle parole, nelle opere. E come se tutto ciò fosse poco, Giovanni praticò, col permesso dei superiori altre austerità e penitenze non prescritte dalla regola.

Trascorreva le ore libere nella preghiera e nella contemplazione; dedicava brevissimo tempo al riposo, macerava la sua carne con digiuni e penitenze. Quanti erano con lui rimanevano stupiti nel vedere come un novizio così giovane fosse di esempio e di sprone persino ai più vecchi ed ai più virtuosi.
Trascorso l’anno del noviziato, Giovanni fu ammesso alla professione che egli fece non senza ritegno e con grande umiltà, dopo aver confessato che per nulla era degno di appartenere all’ordine dei predicatori.

Iniziò allora a studiare lettere, filosofia e teologia e da tali studi ricavò tale profitto da essere stimato degno di salire agli onori della cattedra divenendo docente di Teologia presso lo Studium dei domenicani di Palermo.
Quand’egli ricevette l’ordinazione e celebrò la sua prima messa, si narra che, al momento dell’elevazione dell’ostia consacrata e del calice, fu visto elevarsi da terra; la qual cosa si ripetè altre volte: ragion per cui moltissimi palermitani accorrevano ad ascoltare la sua messa, vogliosi di assistere a quell’evento così straordinario.
Padre Giovanni avrebbe voluto dedicarsi interamente alla vita contemplativa, i superiori però non potevano permettere che la sua dottrina fosse solo apprezzata tra le mura del chiostro, gli ordinarono così di darsi alla predicazione.

Ecco allora che la sua parola così dotta, eloquente, colorita, ispirata da Dio giunge ai cuori degli uditori: i buoni si confortano, gli indifferenti si animano ad operare bene, i perversi si scuotono e sentono che ormai è tempo di cambiare, di rompere col vizio. All’indomani della sua prima predica, la Chiesa di Santa Zita non bastò più a contenere l’immensa folla accorsa a sentire Giovanni, sicchè si dovettero aprire le porte per far ascoltare a tutti coloro che erano rimasti fuori. Così la fama di Giovanni si divulgò per tutta la Sicilia e fu chiamato a predicare in tantissimi luoghi.

Le sue peregrinazioni si accrebbero e durarono a lungo allorchè per ordine dei suoi superiori fu mandato ad esercitare il ministero apostolico in tutta la Sicilia.
Non vi fu villaggio, non vi fu paese, non vi fu città che non subisse la sua influenza benefica. Viaggiando sempre a piedi, appoggiato al suo bastone ed in compagnia di un frate del suo ordine, passava da un luogo all’altro, dopo aver ascoltato le confessioni ed essersi trattenuto a predicare per un tempo più o meno lungo, secondo il bisogno delle anime, procedeva oltre, per diffondere altrove i raggi del suo zelo e della sua ardentissima carità. Per questo era chiamato generalmente l’apostolo di Sicilia.

Quali fossero gli effetti del suo apostolato è facile immaginarlo. Il Padre Giovanni Vairello, che ebbe la fortuna di udire le sue prediche, diceva che ogni sua parola era una “saetta infuocata”, la quale, ferendo i cuori dei peccatori, li riduceva in cera di umiliazione. Da ciò possiamo dedurre quante dovettero essere le conversioni avvenute per opera di Giovanni. Egli si soffermava parlando del giudizio universale e della passione e morte di nostro Signore Gesù Cristo, due argomenti molto efficaci per distogliere il peccatore dagli effetti mondani e farlo rivolgere a quelli celesti. Dovunque egli andasse cessarono la maldicenza, la bestemmia, l’odio, il furto, l’adulterio; si videro schiantate dalle radici le più colpevoli passioni.

Nel 1466 fu mandato a predicare nel nord Italia, precisamente a Vicenza nella chiesa della Santa Corona. Qui vi conobbe un altro illustre e santo confratello, il Beato Matteo Carreri di Mantova. Due uomini, provenienti da culture così diverse e di età diversa, il Beato Giovanni era molto più giovane, si trovarono così uniti nella fede per il grande amore di Dio e per il prossimo. Anche qui molti prodigi ebbero luogo e molte anime, grazie alle sue parole infuocate dell’amore di Dio, furono convertite.
Successivamente fu chiamato nuovamente a Palermo prima nel convento di Santa Zita e poi in San Domenico.
Parlandoci dell’apostolato del Liccio, lo storico Rocco Pirro, dice che fra le città siciliane, quella che ne trasse maggior profitto fu Polizzi Generosa dove il Beato fu inviato nel 1469. In essa il popolo, invogliato da Giovanni, eresse un convento dell’ordine domenicano, il quale fu popolato di molti giovani domenicani che vi praticarono una santa vita. Fra questi primeggiò il padre Gandolfo, discepolo carissimo del nostro Beato.

La predicazione lo volle ancora lontano dalla Sicilia e così, nel 1479, con decreto generalizio del 4 agosto venne assegnato al convento S. Domenico Maggiore di Napoli. Erano quegli anni difficili, a Napoli infatti urgeva restaurare i costumi del convento di San Domenico e della città, e riportare alle anime quella parola di Dio così tanto attesa dopo le ferite inflitte dalla ingordigia degli uomini di potere, disposti a tutto pur di conquistare e di sottomettere. Il maestro Generale dell’ordine quando nel 1479 lo inviò, per obbedienza a Napoli, sapeva bene ciò che stava facendo volendosi avvalere della santità di questo ardente siciliano. Il Beato Giovanni rimase così a Napoli fino alla morte del Maestro dell’ordine, fra’ Leonardo de Mansuetis. Eletto successore un siciliano di Palermo, fra’ Leonardo Cassetta, il quale conoscendo bene il Beato Giovanni e sapendo con quale insistenza la gente di Sicilia richiedesse il suo apostolato, nel 1481, con decreto del 25 ottobre, l’assegnò di nuovo al convento di San Domenico di Palermo divenendo successivamente vicario e visitatore canonico dei conventi domenicani riformati in Sicilia.

Molti anni passarono prima che Giovanni compisse il suo apostolato; alla fine egli, sfinito nelle forze e ormai vecchio, ritirato al convento di San Domenico in Palermo, sperava di trascorrere in pace e nel riposo dell’anima gli ultimi anni della sua vita; ma diversamente Iddio per lui aveva disposto.

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