Riflessione di Padre Giovanni Calcara. Ritiro in convento, per il “dopo virus”

Oggi, 28 marzo 2020,  il sito ufficiale di “Calabria Ecclesia” la voce della conferenza episcopale calabra, e anche il sito web del settimanale  “Famiglia Cristiana”, hanno pubblicato questa riflessione di padre Giovanni Calcara del convento di Soriano Calabro (Vibo Valentia), su quello che le comunità cristiane potranno fare una volta terminata l’emergenza sanitaria.

La vita personale e comunitaria, come tutta quella di noi tutti, in queste ultime settimane ha subito uno stravolgimento inatteso che ci ha colti impreparati e a cui è difficile abituarsi.
Come per tutti… anche noi frati, siamo abituati al rapporto fisico, diretto, immediato che esprime nei confronti degli altri sentimenti e contenuti da condividere. E sappiamo come sia eloquente uno sguardo negli occhi, una stretta di mano, una mano che si posa su una fronte o su una guancia, oppure stringere al fianco una persona a cui si vuole dire che gli siamo vicini..  E poi l’essere privati della predicazione della Parola di Dio: pregata, celebrata e condivisa insieme e non da soli…

Il divieto di celebrare l’Eucaristia con i fedeli è stato il momento decisivo in cui si è iniziato a prendere consapevolezza della gravità della situazione. Da parte nostra… e ora come facciamo con le “intenzioni delle Messe”? Da parte di un nostro collaboratore e componente di una confraternita: ma allora la Via Crucis non si può fare? E successivamente alla notizia della celebrazione della Settimana Santa e della Pasqua “senza la presenza dei fedeli…”, sempre lo stesso soggetto: Ma allora a Cumprunta non si può fare? Ma che Pasqua sarà?

Questo il comune sentire e quindi le telefonate o i messaggini su WhatsApp: mi manca la Messa! Oppure le richieste di preghiere e di intercessione al Signore, alla Madonna del Rosario “liberatrice dal Flagello” o a san Domenico che, per la verità non mancano mai da noi a Soriano, ma che si sono notevolmente intensificate in queste settimane. E poi un ritornello continuo: come facciamo senza la Messa? Ma non si può fare un’eccezione? Per cui mi sembra lecito chiedermi: manca la consuetudine della Messa o l’incontro vivo e reale con Gesù?

Di particolare importanza la necessità di arginare una deriva, alimentata dai social, a cui ormai accedono anche gli anziani: quello che sta succedendo è un castigo e una punizione di Dio per i nostri peccati e per tutto quello che succede nel mondo. Sa padre Giovanni “l’ho visto in televisione, mi è arrivato un messaggio di tal padre o tal sito…”.

Il momento che stiamo vivendo non ha fatto altro che mettere in evidenza, qualora qualcuno ancora non l’avesse ancora compreso, che il giudizio su fatti e persone non si formi, per la maggior parte delle persone, all’interno della comunità credente, ma attingendo a fonti diverse rispetto alla Parola di Dio e alla comunicazione ecclesiale.

Occorre molta fatica per riportare la serenità degli animi delle persone, anche dei giovani, su quanto richiama continuamente papa Francesco “sulla misericordia e bontà di Dio che è Padre e come tale non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva” e che decisiva appare invece la “responsabilità delle nostre azioni e di ogni nostro gesto…” che, prima degli ultimi decreti era un tabù… Oppure “il virus si vince con la preghiera, la tenerezza e la solidarietà”.

L’emergenza ha colto tutti imperati, non soltanto noi frati ma anche molti parroci… le uniche vie di comunicazione rimaste sono le campane e gli altoparlanti collocati nelle facciate delle chiese, oltre naturalmente ai cellulari…

Padre Giovanni Calcara dalla finestra del convento di Soriano Calabro

Pochissime le eccezioni, anche dalle nostre parti… delle parrocchie che hanno un sito web o una pagina Facebook come mezzo di evangelizzazione o di comunicazione delle proprie iniziative. Il piùdelle volte, ci si limita,  alle dirette web in occasione delle feste patronali.

Ma cosa, ancor più grave, secondo me è l’incapacità dei fedeli, e sicuramente la colpa è solo di chi aveva la responsabilità di farlo (cioè di noi sacerdoti) di non aver fatto comprendere il senso, il valore e il significato della vita spirituale e di relazione con Dio, al di là dei sacramenti e delle tradizioni, della cosiddetta, pietà popolare. Papa Francesco ha detto che, per secoli alcuni fratelli e sorelle sono diventati santi e hanno affrontato il martirio “senza andare, per anni, a Messa”. Come farlo comprendere ai “nostri” fedeli, a molti dei quali, la Bibbia è sconosciuta e i sacramenti sono solo dei “momenti di preparazione” ai banchetti? Questi sì… organizzati e preparati anni prima… nei minimi particolari…

Tutti diciamo che “ce la faremo”, anch’io ho aderito all’iniziativa e dal davanzale della finestra della mia stanza ho esposto il tricolore. Ma i più ignorano l’origine e il significato della citazione, salvo “a costringere” i bambini a colorare i cartelloni da esporre ai balconi o ad interpretare gag più o meno comiche da mettere in rete…

Di Dio, qualcuno, già “ne fa a meno”. Ma del calcio, dei centri commerciali, delle passeggiate con il cane, dello sport all’aperto e del personal trainer?

Forse sarebbe il caso di pensare “ai compiti / agenda” per il “dopo virus”:

  1. Smettere di pensare la vita cristiana, le attività pastorali, la pietà popolare come “riserva” da gestire secondo criteri personali, non avendo il coraggio di “fare saltare il tavolo” per reimpostare il tutto, secondo criteri, autenticamente evangelici;
  2. “Accettare di vivere” in una società “post cristiana” e il fatto che anche all’interno delle comunità cristiane viviamo non solo un indebolimento morale, ma una crisi di appartenenza, di identità della personalità, dei ruoli e delle proprie responsabilità;
  3. Avere il “coraggio” di “investire risorse umane ed economiche” per un progetto culturale “educativo”, a lungo termine, da “accompagnare” e non “pretendere di guidare e determinare a priori”, eliminando elucubrazioni intelletualistiche o teologiche per proporre, invece, autentiche  esperienze condivise ed accettate da tutti.

“Dio trae il bene dal male”, a maggior ragione da noi che “siamo figli di Dio”. Quando, come questo avverrà non dipende da Dio che “non gode” del male e della morte, ma da ciascuno di noi “artefice” con l’aiuto di Dio, del proprio futuro e della felicità personale e delle persone a cui dice, di voler bene per essere realmente “cittadini degni del Vangelo”.

 padre Giovanni Calcara, o.p.

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